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"Queste pagine contengono le canzoni d'amore che composi alla Mecca, durante il mio soggiorno nella Città Santa, nei mesi di Rajab, Sha`bân e Ramadân. In esse alludo a intuizioni trascendenti, a illuminazioni divine, a misteri spirituali, a conoscenze filosofiche e a insegnamenti morali. E, se per esprimere tutto ciò mi servii del linguaggio delle poesie galanti e amorose, fu perché i cuori degli uomini, essendo tanto attaccati a quei sentimenti, avrebbero dovuto in tal modo maggiormente indotti a dare ascolto alle mie canzoni, scritte nel medesimo idioma dei poeti graziosi, spirituali e delicati."- Ibn 'Arabi La causa che mi spinse a redigere questo commentario allegorico delle mie canzoni fu che i miei figli spirituali, Badr l'Abissino e Isma`îl Ibn Sûdakîn, mi interrogarono intorno a esse. E ciò perché entrambi avevano udito alcuni dottori nelle scienze della morale, nella città di Aleppo, che negavano che nelle mie canzoni fossero celati dei misteri teologici, aggiungendo che l'autore pretendeva con tale affermazione di nascondere il suo amore sensuale, per salvaguardare la fama di santità e devozione che lo accompagnava. Allora incominciai a commentare questi miei versi (lavoro che terminai con difficoltà ed in modo imperfetto, dal momento che avevo urgenza di continuare il mio viaggio, nel periodo predetto)[...]- Ibn 'ArabiSebbene Ibn `Arabî (Murcia 1165 - Damasco 1240) sia il più celebre fra i mistici musulmani, ben pochi dei suoi centocinquanta lavori superstiti sono stati editi in Europa, ed ancor meno sono stati tradotti, cosicché, in merito alle speculazioni teosofiche di quell'autore che tanta sensazione produsse nel mondo islamico, quasi non disponiamo di materiale degno di nota. Altrettanto dicasi per la parte della sua opera scritta in versi, che comprende un ponderoso Dîwân e varie raccolte minori. Una di queste è L'Interprete delle Passioni. Il fatto che L'Interprete sia accompagnato da un commentario di pugno dell'autore fu il motivo principale che mi indusse a studiarlo, oltre a quello della sua brevità , ed alla circostanza di poter disporre di un eccellente manoscritto. Nella presente edizione il canzoniere verrà tradotto integralmente, mentre il commentario sarà alquanto abbreviato; in ogni caso i passi più interessanti e importanti verranno riportati quasi parola per parola.- Reynold A. Nicholson
Il Trattato dell'Unità (Risâlatu-l-Ahadiyyah) di IbnʿArabī, Edizione annotata e corretta. L'opera di IbnʿArabī si presenta come la somma più completa e sistematica dell'esoterismo islamico. Il breve trattato qui presentato è uno dei più interessanti sul versante filosofico e metafisico. Per IbnʿArabī il percorso mistico non è né razionale né irrazionale: la mente sfugge ai limiti della materia. A differenza della filosofia, essa si colloca al di fuori del dominio della ragione, come pensava anche Tertulliano: così, contrariamente alla scissione tracciata da Averroè tra fede e ragione, la visione di IbnʿArabī è quella di un incontro tra intelligenza, amore e conoscenza, cosicché al termine di questo trattato egli può scrivere: "Chi non conosce se stesso non vede Allâh, poiché ogni recipiente non lascia filtrare che ciò che contiene". Il punto di vista dell'autore di questo trattato è uno dei più puramente metafisici che siano stati espressi verso l'esterno nell'ambito della tradizione esoterica islamica; non è difficile trovare nella Risâlatu-l-Ahadiyyah punti di contatto con la dottrina metafisica del Vêdânta indu, senza che con ciò sia affatto il caso di ricercare l'esistenza di influenze sull'esoterismo islamico da parte di quest'ultima. Volendo infatti riassumere in poche parole l'asserto essenziale della Dottrina contenuta nella Risâlah, si potrebbe dire che, cosi come per Brahma nella tradizione indu, Allâh solo è; le cose, i mondi, gli esseri che ci appaiono distinti, non sono altro che Lui in realtà . Considerate differenti da Lui, le cose sono prive di esistenza; sono esclusivamente contingenti, perciò effimere perché senza radice. à quanto afferma il testo: L'esistenza delle cose è la Sua Esistenza senza che esse siano.
Heinrich Cornelius Agrippa, nato verso la fine del XV secolo a Colonia, è ancora oggi una delle figure di maggior rilievo per chiunque si occupi di esoterismo ed alchimia. La sua celeberrima opera "De Occulta Philosophia, Libri Tres", data alle stampe nell'anno 1553, è una pietra miliare per tutti coloro che si avvicinano allo studio della magia, dell'ermetismo e della cabala. Il presente volume contiene il terzo dei tre libri del De Occulta Philosophia, intitolato "Magia Cerimoniale". La nostra edizione corretta e riveduta si basa sulla prima traduzione italiana a cura di Alberto Fidi. Per la stessa collana sono editi anche gli altri due libri che compongono l'opera, il "Libro I Magia Naturale" ed il "Libro II Magia Celeste".(--------------------)"In questi tre libri si mostrerà in quale modo i Maghi raccolgano le virtù del triplice mondo.Come v'hanno tre sorta di mondi, l'Elementare, il Celeste e l'intellettuale, e come ogni cosa inferiore è governata dalla sua superiore e ne riceve le influenze, in modo che l'Archetipo stesso e Operatore sovrano ci comunica le virtù della sua onnipotenza a mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre, cose tutte create per essere da noi usate; così, non senza fondamento, i Magi credono che noi possiamo agevolmente risalire gli stessi gradini, penetrare successivamente in ciascuno di tali mondi e giungere sino al mondo archetipico animatore, causa prima da cui dipendono e procedono tutte le cose, e godere non solo delle virtù possedute dalle cose più nobili, ma conquistarne nuove più efficaci". [...] "- Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, 1553.
Il filosofo nolano Giordano Bruno compose decine di opere lungo la sua travagliata vita, quasi tutte in latino, molte di esse andate perdute. Scrisse solamente sei dialoghi filosofici in lingua volgare. I primi tre, contenuti in questo primo volume, trattano la tematica metafisico-cosmologica e sono: la Cena delle ceneri, il De infinito universo e mondi, il De la causa, principio e uno.* Nella Cena delle ceneri Bruno critica le tesi del teologo luterano Osiander il quale conferiva alla teoria copernicana un valore di pura ipotesi matematica che non rispecchiasse la vera struttura dell'universo. Bruno difese invece la verità fisica e cosmologica dell'eliocentrismo, cercando di mantenersi entro il campo filosofico e non toccando dunque il tema teologico.Tuttavia Bruno, più che sostituire la centralità dell'universo dalla Terra al Sole, cercava di eliminare proprio il concetto di centralità. Infatti egli concepiva l'universo come infinito, privo di distinzioni gerarchiche e, dunque, privo anche di un centro.* Nel De la causa, principio e uno, Bruno, offre la fondazione ontologica della sua cosmologia. Egli vuole affrontare la questione di quale sia la causa o il principio dell'universo, sempre parlando in termini filosofici e non toccando l'argomento della causa prima, cioè Dio.Per quanto riguarda la causa seconda, per Bruno essa è Dio, nel senso di natura della natura. Egli inizialmente individua due principi che stanno alla base dell'universo: l'anima del mondo, cioè la forma, e la materia universale. L'anima del mondo essendo ricettacolo di tutte le forme, dà vita a tutti corpi di cui è costituito l'universo.* Nel De infinito universo e mondi Bruno, sviluppando ulteriormente tematiche già iniziate nei due dialoghi precedenti, dimostra con vari argomenti l'infinità dell'universo, tema principale dell'opera. Non va dimenticato che in quei tempi l'universo era ritenuto di dimensioni finite, con la Terra al centro, gli altri pianeti e il Sole attorno a questa in un sistema di sfere l'una dentro l'altra, e le stelle fisse sulla superficie dell'ultima sfera: il sistema tolemaico, sistema ufficialmente ritenuto per vero dalla Chiesa. Il sistema copernicano era stato da poco proposto, ma anche questo, pur ponendo il Sole al centro, ipotizzava un universo di dimensioni finite. Il De l'infinito sancisce il punto definitivo di frattura del pensiero del filosofo nolano sia con la dottrina aristotelica sia col cristianesimo.
Heinrich Cornelius Agrippa, nato verso la fine del XV secolo a Colonia, è ancora oggi una delle figure di maggior rilievo per chiunque si occupi di esoterismo ed alchimia. La sua celeberrima opera "De Occulta Philosophia, Libri Tres", data alle stampe nell'anno 1553, è una pietra miliare per tutti coloro che si avvicinano allo studio della magia, dell'ermetismo e della cabala. Il presente volume contiene il secondo dei tre libri del De Occulta Philosophia, intitolato "Magia Celeste". La nostra edizione corretta e riveduta si basa sulla prima traduzione italiana a cura di Alberto Fidi. Per la stessa collana sono editi anche gli altri due libri che compongono l'opera, il Libro I con il titolo di "Magia Naturale"; e il Libro III dal titolo "Magia Cerimoniale".(-------------------------------)"In questi tre libri si mostrerà in quale modo i Maghi raccolgano le virtù del triplice mondo.Come v'hanno tre sorta di mondi, l'Elementare, il Celeste e l'intellettuale, e come ogni cosa inferiore è governata dalla sua superiore e ne riceve le influenze, in modo che l'Archetipo stesso e Operatore sovrano ci comunica le virtù della sua onnipotenza a mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre, cose tutte create per essere da noi usate; così, non senza fondamento, i Magi credono che noi possiamo agevolmente risalire gli stessi gradini, penetrare successivamente in ciascuno di tali mondi e giungere sino al mondo archetipico animatore, causa prima da cui dipendono e procedono tutte le cose, e godere non solo delle virtù possedute dalle cose più nobili, ma conquistarne nuove più efficaci". [...] "- Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, 1553.
I tre Dialoghi filosofici contenuti in questo volume - Spaccio de la Bestia trionfante, Cabala del Cavallo pegaseo (con l'Aggiunta dell' Asino cillenico), De gli Eroici furori - costituiscono nelle intenzioni di Giordano Bruno il tentativo - meravigliosamente riuscito - di portare a frutto in ambito etico-politico e religioso le argo-mentazioni escogitate e sviluppate nei Dialoghi metafisico-cosmologici - Cena de le Ceneri; De la Causa, Principio e Uno; De l'Infinito, Universo e mondi. Temi dei dialoghi cosmologici sono l'infinità del cosmo e la pluralità dei mondi; nei dialoghi morali l'autore professa una concezione immanentistica della divinità.***Lo Spaccio de la bestia trionfante è costituito da tre dialoghi di argomento morale, si presta a essere interpretato su diversi livelli, tra i quali resta fondamentale quello dell'intento polemico di Bruno contro la Riforma protestante, che agli occhi del Nolano rappresenta il punto più basso di un ciclo di decadenza iniziato col cristianesimo. Decadenza non soltanto religiosa, ma anche civile e filosofica. ***La Cabala del cavallo pegaseo viene pubblicata nel 1585 insieme a l'Asino cillenico in unico testo. Il titolo allude a Pegaso, il cavallo alato della mitologia greca nato dal sangue di Medusa decapitata da Perseo. Al termine delle sue imprese, Pegaso volò nel cielo trasformandosi in costellazione, una delle 48 elencate da Tolomeo nel suo Almagesto: la costellazione di Pegaso. Si tratta di un'opera satirica e al tempo stesso di un atto d'accusa. Il cavallo nel cielo sarebbe allora un asino idealizzato, figura celeste che rimanda all'asinità umana: all'ignoranza, quella dei cabalisti, ma anche quella dei religiosi in generale.***Nei dieci dialoghi che compongono l'opera De gli eroici furori, pubblicati nel 1585 sempre a Londra, Bruno individua tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla conoscenza; quella per la vita pratica e attiva, e quella per la vita oziosa. Le due ultime tendenze rivelano una passione di poco valore, un furore basso; il desiderio di una vita volta alla contemplazione, cioè alla ricerca della verità, è invece espressione di un furore eroico, con il quale l'anima, rapita sopra l'orizzonte de gli affetti naturali [...] vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto.
Lo Spaccio de la bestia trionfante è uno dei sei dialoghi italiani scritti da Giordano Bruno. L'opera, pubblicata a Londra nel 1584, è scritta in forma di dialogo allegorico. Le bestie trionfanti sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre spacciarle, cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vecchi vizi che è tempo di sostituire con moderne virtù e costellazioni, occorre un nuovo cielo ed una nuova serie di valori cui l'uomo moderno possa e debba fare riferimento.La prima parte del primo dialogo vede Sofia e Saulino discorrere sull'avvicendarsi degli eventi nel mondo, la vicissitudine. La mutazione della materia è uno dei punti principali del pensiero di Bruno: tutto nell'universo è in continuo cambiamento e rientra nella natura delle cose il passare da un estremo all'altro, procedere cioè per contrarii. Per cui, conclude Sofia, la verità quanto più viene sommersa nel tempo tanto più poi si innalzerà. Bruno fa rientrare la riforma voluta da Giove, e quindi la restaurazione dei valori, nella ordinarietà della vicissitudine universale. Nella seconda parte trova posto l'"Orazione di Giove", il discorso che questi pronuncia al collegio divino da lui stesso convocato. Il padre degli dèi è sconfortato perché le leggi che egli ha inviato agli uomini sono state usurpate da indegnissime poltronarie, e lo stesso cielo ne dà testimonianza con il disordine delle costellazioni.Nella terza parte l'esposizione prosegue col dialogo tra Sofia e il messagero degli dèi, Mercurio: è stato deciso che nel posto occupato dalle costellazioni dell'Orsa Minore, del Drago, di Cefeo, dell'Artofilace e in quello accanto alla Corona vengano a situarsi rispettivamente le virtù Verità, Prudenza, Sofia, Legge e Giudizio, ciascuna con le sue ancelle; scompaiono così la Falsità, la Casualità, l'Ignoranza, la Prevaricazione, l'Iniquità, e con queste anche le tante ministre, come la stolta fede, l'ipocrisia, l'eccesso, la vendetta, eccetera. Trova posto al termine di quest'ultima parte la curiosa descrizione che Mercurio fa a Sofia delle disposizioni impartitegli da Giove prima che egli giungesse. L'alato nume elenca così tutta una serie di compiti apparentemente irrisori, minuzzaria: ogni cosa nel mondo, anche quella apparentemente più insignificante ha la sua importanza, perché la cognizion divina non è come la nostra, la quale séguite dopo le cose; ma è avanti le cose e si trova in tutte le cose, di maniera che, se non la vi si trovasse, non sarrebono cause prossime e secondarie.
La Cena de le ceneri è il primo dialogo filosofico che Giordano Bruno (Nola 1548 - Roma 1600) pubblica a Londra. Siamo nell'anno 1584 e Bruno scrive in italiano, dedicando l'opera all'ambasciatore francese Michel de Castelnau, presso il quale era ospite dopo aver lasciato la Francia nell'aprile del 1583. Inquadrabile nell'ambito della filosofia della natura, in essa Bruno, collegandosi alla teoria copernicana, descrive un universo infinito nel quale il divino è onnipresente, la materia eterna e in perenne mutazione. L'opera è divisa in cinque dialoghi, i protagonisti sono quattro e fra questi Teofilo può considerarsi il portavoce dell'autore. Bruno immagina che il nobile sir Fulke Greville, il giorno delle Ceneri, inviti a cena Teofilo, Bruno stesso, Giovanni Florio, precettore della figlia dell'ambasciatore, un cavaliere e due accademici luterani di Oxford, i dottori Torquato e Nundinio.Mentre il primo e il secondo dialogo descrivono gli avvenimenti che hanno favorito l'incontro e quindi la cena, il confronto fra il Nolano e i due dottori di Oxford occupa i successivi due, prima con Nundinio quindi con Torquato rispettivamente. Bruno va oltre l'eliocentrismo di Copernico, e senza essere un astronomo egli intuisce che le stelle che vediamo nel cielo, solo apparentemente fisse, sono altrettanti soli simili al nostro, effetto infinito di una causa senza limiti, tematica che svilupperà a fondo nel De la causa e nel De l'infinito immaginando un universo infinito fatto di mondi innumerabili, ma già nella Cena egli è ben chiaro: Questi fiammeggianti corpi son que' ambasciatori, che annunziano l'eccellenza de la gloria e maestà de Dio. Cossì siamo promossi a scuoprire l'infinito effetto dell'infinita causa, il vero e vivo vestigio de l'infinito vigore; ed abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi, se l'abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesmi siamo dentro a noi; non meno che gli coltori degli altri mondi non la denno cercare appresso di noi, l'avendo appresso e dentro di sé, atteso che non più la luna è cielo a noi, che noi alla luna(La cena de le ceneri, 1956; Teofilo: dialogo I)
Heinrich Cornelius Agrippa, nato verso la fine del XV secolo a Colonia, è ancora oggi una delle figure di maggior rilievo per chiunque si occupi di esoterismo ed alchimia. La sua celeberrima opera "De Occulta Philosophia, Libri Tres", data alle stampe nell'anno 1553, è una pietra miliare per tutti coloro che si avvicinano allo studio della magia, dell'ermetismo e della cabala. Il presente volume contiene il primo dei tre libri del De Occulta Philosophia, intitolato "Magia Naturale". La nostra edizione corretta e riveduta si basa sulla prima traduzione italiana a cura di Alberto Fidi. Per la stessa collana sono editi anche gli altri due libri che compongono l'opera, il Libro II con il titolo di "Magia Celeste"; e il Libro III dal titolo "Magia Cerimoniale".(-------------------------------)"In questi tre libri si mostrerà in quale modo i Maghi raccolgano le virtù del triplice mondo.Come v'hanno tre sorta di mondi, l'Elementare, il Celeste e l'intellettuale, e come ogni cosa inferiore è governata dalla sua superiore e ne riceve le influenze, in modo che l'Archetipo stesso e Operatore sovrano ci comunica le virtù della sua onnipotenza a mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre, cose tutte create per essere da noi usate; così, non senza fondamento, i Magi credono che noi possiamo agevolmente risalire gli stessi gradini, penetrare successivamente in ciascuno di tali mondi e giungere sino al mondo archetipico animatore, causa prima da cui dipendono e procedono tutte le cose, e godere non solo delle virtù possedute dalle cose più nobili, ma conquistarne nuove più efficaci". [...] "- Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim, 1553.
Nel "De Vinculis in generale", Bruno, muovendo dal concetto di 'vincolo' - e, in modo specifico, dall' analisi del vincolo d'amore - analizza in che modo il 'cacciatore di anime' riesca a 'vincolare' gli uomini, penetrando, con 'tecniche' appropriate, nelle dinamiche della psiche umana per assoggettarla al suo dominio. Sono 'tecniche', però - e su questo Bruno insiste lungo tutto il suo trattato - imperniate su una vera e propria 'teoria' scientifica, fondata su principi assai precisi - a cominciare da quello di anima del mondo, da cui discende la concezione della universale 'simpatia' delle cose che rende possibile le operazioni magiche, compresa l'azione a distanza.
Quindi l'ali sicure a l'aria porgo; Né temo intoppo di cristallo o vetro, Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo.E mentre dal mio globo a gli altri sorgo, E per l'eterio campo oltre penetro: Quel ch'altri lungi vede, lascio al tergo.(G. Bruno; De l'infinito, universo e mondi)--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------"..per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m'affatico, mi crucio, mi tormento. Questo manifestaranno gli argumenti demostrativi, che pendeno da vivaci raggioni, che derivano da regolato senso, che viene informato da non false specie che, come veraci ambasciatrici, si spiccano da gli suggetti de la natura, facendosi presenti a quei che le cercano, aperte a quei che le rimirano, chiare a chi le apprende, certe a chi le comprende. Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l'infinito universo e mondi innumerabili."(G. Bruno, nell'Epistola proemiale)---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Il "De l'infinito, universo e mondi" è il terzo dialogo filosofico che Giordano Bruno pubblica a Londra nel 1584, chiudendo il ciclo dei dialoghi cosmologici londinesi intrapreso con "La cena de le ceneri" e proseguito con "De la causa, principio e uno".Il De l'infinito è composto di cinque dialoghi preceduti dalla dedica (la "proemiale epistola"), nella quale Bruno non manca di inserire tre poesie. Protagonisti sono Filoteo, che dà voce all'autore, come già nei precedenti dialoghi; Fracastorio, medico; Burchio, peripatetico; ed Elpino, giovane allievo che fa da interlocutore a Filoteo.La versione del testo qui presentata ha come testo di riferimento: Giordano Bruno, Dialoghi italiani I, Dialoghi metafisici, Nuovamente ristampati con le note di Giovanni Gentile (3° ed. a cura di G. Aquilecchia) Sansoni - Firenze, 2° ristampa 1985.
La Cabala del Cavallo Pegaseo, pubblicata a Londra nel 1585 insieme a l'Asino cillenico in unico testo, è uno dei sei dialoghi italiani scritti da Giordano Bruno. Il titolo allude a Pegaso, il cavallo alato della mitologia greca nato dal sangue di Medusa decapitata da Perseo, mentre Cabala si riferisce a una tradizione mistica originatasi in seno all'ebraismo."La Cabala," che può considerarsi continuazione e conclusione del precedente" Spaccio de la bestia trionfante," è un'opera di satira morale nella quale bersaglio dell'autore sono le religioni rivelate, cristianesimo ed ebraismo.*** Che vi val, curiosi, il studïare, / Voler saper quel che fa la natura, / Se gli astri son pur terra, fuoco e mare? //La santa asinità di ciò non cura; / Ma con man gionte e 'n ginocchion vuol stare, / Aspettando da Dio la sua ventura.(Cabala del cavallo pegaseo, In lode dell'asino)
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