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Contos de fuchile - racconti da focolare -, con questo dolce nome che rievoca tutta la tiepida serenità delle lunghe serate famigliari passate accanto al paterno camino, da noi vengono chiamate le fiabe, le leggende e tutte le .
This is a reproduction of a book published before 1923. This book may have occasional imperfections such as missing or blurred pages, poor pictures, errant marks, etc. that were either part of the original artifact, or were introduced by the scanning process. We believe this work is culturally important, and despite the imperfections, have elected to bring it back into print as part of our continuing commitment to the preservation of printed works worldwide. We appreciate your understanding of the imperfections in the preservation process, and hope you enjoy this valuable book. ++++ The below data was compiled from various identification fields in the bibliographic record of this title. This data is provided as an additional tool in helping to ensure edition identification: ++++ L'edera: Dramma In Tre Atti Grazia Deledda, Camillo Antona-Traversi Fratelli Treves, 1911 Drama; Continental European; Drama / Continental European
This scarce antiquarian book is a facsimile reprint of the original. Due to its age, it may contain imperfections such as marks, notations, marginalia and flawed pages. Because we believe this work is culturally important, we have made it available as part of our commitment for protecting, preserving, and promoting the world's literature in affordable, high quality, modern editions that are true to the original work.
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Canne al vento è un romanzo di Grazia Deledda. Trama In un villaggio sardo, Galte, non lontano dalla foce del Cedrino, sulla costa tirrenica della Sardegna, vive la nobile famiglia Pintor: padre, madre e quattro figlie. Il padre, Don Zame, rappresentato come rosso e violento come il diavolo, è un uomo superbo e orgoglioso, ma anche prepotente e soprattutto geloso dell'onore della famiglia e ne protegge il prestigio e la nobile reputazione nel paese. Le donne, dedite ai lavori domestici, restano a casa. A questa condizione femminile si ribella solo Lia, la terza delle sue figlie, la quale trasgredendo le regole imposte dal genitore fugge sulla penisola per "prender parte alla festa della vita". Approda a Civitavecchia. Qui si sposa, ha un figlio e muore. Don Zame sembra impazzire per lo scandalo - "Un'ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era accaduto uno scandalo eguale; mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia era fuggita così." - Il padre mentre tenta di inseguire la figlia viene trovato misteriosamente morto sul ponte all'uscita dal paese. Il fatto criminoso resterà avvolto in una sorta di mistero: disgrazia o delitto? Questo è l'antefatto del romanzo che nella realtà narrativa viene rivelato con anacronie, nel corso della narrazione, la quale in verità comincia nel momento in cui viene annunciato l'arrivo di Giacinto, il figlio di Lia, in casa Pintor. Quando il romanzo ha inizio, le dame Pintor: Ruth, Ester e Noemi, assistono rassegnate al declino della loro giovinezza, abitano in una casa oramai cadente e sono rimaste proprietarie di un unico, piccolo podere appena sufficiente per il loro sostentamento. La vita delle Pintor scorre in una mestizia malinconica nella quale sfuma il loro orgoglio, che ha guizzi soprattutto in Noemi e meno nelle altre due più anziane, provate dalla rinuncia e dall'aggravarsi della miseria. Invano sono protette dalla dedizione del servo Efix (Efisio è un nome molto diffuso nel sud della Sardegna e si chiama così uno dei santi patroni della città di Cagliari), legato a loro, come il carnefice alla vittima, da un forte senso di colpa (infatti lui per favorire la fuga di Lia, per cui aveva una devozione appassionata molto simile all'amore, aveva accidentalmente ucciso il padrone). Egli sogna, con pazienza e devozione, il rifiorire della casa e della casata. Una speranza si accende con l'arrivo di Giacinto. Intorno vagano i personaggi minori, membri della comunità e del gruppo, solidali e partecipi con la loro primitiva saggezza: le giovani coetanee di Giacinto, i coetanei delle Pintor, di Efix. Le reazioni all'arrivo di Giacinto sono minutamente descritte nei vari meccanismi di accettazione e rifiuto, finché l'amore finisce per ristabilire un nuovo equilibrio, che ciascun membro della comunità ha pagato con la propria esperienza e in misura adeguata al proprio ruolo. Le pagine memorabili del romanzo che restano impresse nell'animo del lettore sono numerose: Efix e il suo mondo interiore, le sue riflessioni e le fantasie, gli interni della casa, il paesaggio, i santuari e le feste, la iniziazione difficile di Giacinto, l'amore di Noemi e quello di Grixenda per lui, quello riconoscente delle dame per Efix che si conclude nello splendido attittidu della fine, quando donna Ester parla come in una nenia funebre al servo morto, lo apostrofa e ne veste il cadavere leggero, sola nella grande casa allietata dalle nozze di Noemi col cugino don Pedru. Il narratore deleddiano adotta via via, in soggettiva, il punto di vista di altri protagonisti, come Noemi e Giacinto, ma soprattutto Efix. Il narratore distingue tra il dialogo cui affida il materiale narrativo oggettivo, spazio-temporale, e il piano soggettivo della percezione del mondo che viene rappresentato attraverso le immaginazioni e le fantasie del protagonista.
A venticinque anni, bella, ricca, fidanzata, senza aver mai provato un dolore veramente grande, un giorno Maria Magda si sentì improvvisamente il cuore nero e vuoto. Fu come il principio d'un malore fisico, che andò di giorno in giorno aumentando, allargandosi, spandendosi. Ella era felice in casa sua, e un'altra felicità l'aspettava. Ma per raggiungere la nuova felicità, doveva abbandonare l'antica, e le sembrava che allora il rimpianto della famiglia lontana, della dolce casa paterna, della libertà perduta, della patria abbandonata, le avrebbero dato una indicibile nostalgia, avvelenandole la nuova felicità. C'erano ore nelle quali, specialmente di notte, al buio, ella provava una pro...
Vi parrà un romanzo, o mia bionda e piccola lettrice, ma è una storia vera: tanto vera che io, per narrarvela, cambio i nomi delle persone e dei luoghi alle quali e nei quali accadde. Figuriamoci in Sardegna, nella mia verde e sconosciuta Sardegna, e cominciamo. Si chiamava Cicytella, nome che nei nostri dialetti sardi significa Franceschina: niente altro che Cicytella, perché non aveva famiglia, non aveva nome: probabilmente era una trovatella, ma nessuno era anche certo di ciò. Dieci o dodici anni prima un vecchio pastore che cambiava il gregge dalla pianura alla montagna, all'entrata dei boschi, sul musco verde di un masso, aveva trovato una piccola bambina, riccamente vestita, ma qu...
Dalla scranna antica che il lungo uso aveva sfondato e sbiadito, era ancora lei, la nonna Agostina Marini, quasi ottantenne e impotente a muoversi, che dominava sulla casa e sulla famiglia come una vecchia regina dal trono. Non le mancava neppure lo scettro: una canna pulita che il nipotino più piccolo aveva cura di rinnovare ogni tanto; buona per dare sulle gambe ai ragazzi impertinenti e per scacciare i cani e le galline che penetravano dal cortile; ma sopratutto buona per frugare nel camino, davanti al quale la nonna sedeva in permanenza d'estate e d'inverno, e specialmente per frugarvi quando era sdegnata con qualcuno, cosa che le accadeva spesso. Perché la canna non si accendesse il...
L'uomo che abitava la casetta solitaria laggiù fra la spiaggia e la brughiera, di ritorno dal suo solito viaggio al paese dove ogni tanto si provvedeva delle cose più necessarie alla vita, svoltando dalla strada provinciale al sentiero che conduce verso il mare, vide due uomini che misuravano coi loro passi un terreno attiguo al suo giardino. Subito si fermò, con un senso di curiosità misto a rabbia e ad angoscia; ricordava che Ghiana, la contadina che ogni tanto gli portava il latte e le uova da un cascinale delle colline, gli aveva appunto annunziato la vendita di quel terreno e la probabilità che ci venisse costrutta una casa. Ecco dunque la minaccia avverarsi: i due uomini che misur...
Melchiorre Carta saliva la montagna, ritornando al suo ovile. Era un giovane pastore biondastro, di piccola statura; una ruga gli si disegnava fra le sopracciglia folte e nere, che spiccavano nel fosco giallore del suo volto contornato da una rada barbetta rossiccia. Anche la sopragiacca di cuoio del suo costume era giallognola, e il cavallino che egli montava era rossastro, tozzo, angoloso e pensieroso come il suo padrone. Melchiorre era un giovine di buoni costumi e d'ottima fama; molto spensierato ed allegro non lo era mai stato, ma da qualche tempo si mostrava più taciturno del solito, e si sentiva quasi malvagio, perché sua cugina Paska lo aveva abbandonato alla vigilia delle loro ...
Per San Michele la famiglia Bilsini cambiò di casa ed anche di terra. Era una famiglia numerosa: cinque figli maschi, la madre vedova, e uno zio di lei, che, sebbene mezzo paralitico e senza un soldo di suo, poteva dirsene il capo. Appunto per i consigli dello zio Dionisio, i Bilsini avevano venduto la loro piccola proprietà per prendere in affitto un vasto fondo, già antico feudo gentilizio che, di decadenza in decadenza, acquistato in ultimo a vile prezzo da un fabbricante di scope, veniva da questi concesso a modestissime condizioni annuali: cento dieci lire la biolca, due capponi, quaranta uova d'inverno e un cestino d'uva da tavola per l'estate. Da anni questa terra giaceva in abb...
Dopo la morte della vecchia donn'Anna, sistemati gli affari, Paolo Velèna prese con sè la piccola nipote e, com'era stabilito, la condusse ad Orolà, presso la sua famiglia. Orolà è una piccola sotto-prefettura sarda, nella provincia di Sassari. Città fiorentissima sotto i Romani, decaduta poi per le scorrerie dei Saraceni, risorse sotto il dominio dei Barisone, giudici o re di Torres, e si mantenne forte sino all'abolizione dei feudi in Sardegna, avvenuta nella prima metà di questo secolo. Nel censimento delle popolazioni sarde, fatto da Arrius, illustre ploaghese che visitò le 42 città dell'isola ai tempi del console Marco Tullio Cicerone (116-43 a. C), Orolà figurava per centomila abi...
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