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"Bisognava anche, e soprattutto, dare ragione del sotterfugio del poeta e di tutti i suoi secolari commentatori; poiché, davvero, si aveva la sensazione di trovarsi di fronte a una specie di congiura del silenzio durata settecento anni. Che cosa si voleva nascondere? E in quale misura?".
"L'avventuroso ritrovamento, in uno sgabuzzino murato del Palazzo di Recanati, di questi quindici tentativi di Infinito strutturati in tutte le salse metriche, con progressiva espansione dal balbettio monosillabico alla scandita ariosità del settenario doppio, ci permette finalmente di seguire passo dopo passo il percorso compiuto da Giacomo Leopardi per arrivare alla superba versione in endecasillabi sciolti che già possedevamo. Con tutta evidenza il poeta, affinché il canto apparisse come un fungo miracoloso cresciuto in una notte sola, cercò di cancellare ogni traccia di tutto il precedente lavorio. Invano, poiché i manoscritti preparatori son come l'olio della verità: prima o poi vengono a galla".
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